In estate si tende a mangiare più pesce.
La vicinanza al mare, la sua leggerezza, l’abbinamento con le fresche verdure estive ce lo fanno desiderare di più.
All’esordio di questo blog abbiamo parlato di sostenibilità ambientale del pesce:
https://ecologiacucinaeconomiadomestica.blogspot.com/2018/12/pesce-sostenibile.html
In precedenza scrivevo post più succinti.
Abbiamo fatto caso a quei pesci verso cui la pesca è troppo intensa, perché molto richiesti (ad esempio il tonno o il merluzzo) oppure verso cui il tipo di pesca danneggia il mare (perché cattura anche animali non voluti, come uccelli marini, tartarughe o delfini oppure, nel caso di sogliole e rombi, perché per pescare loro si distrugge l’ecosistema del fondale marino).
Si poneva l’attenzione sull’origine, scoprendo che molto del pescato che mangiamo viene da lontano (polpi dal Marocco, merluzzo dal mare del Nord) oppure da allevamenti intensivi ad alto impatto ambientale e con elevata richiesta di risorse (come quello dei salmoni).
E si rimandava ad alcune pagine che davano indicazioni sulle preferenze di pesce, per evitare di impattare ulteriormente sul mare, con delle pratiche guide da consultare e dettagliate spiegazioni:
ConsuMARE giusto:
WWF:
http://pescesostenibile.wwf.it
Slowfood:
http://www.slowfood.com/slowfish/filemanager/guide/guida_ITA_bassa.pdf
Greenpeace:
http://fishfinder.greenpeace.it/pesca-sostenibile/
Ma, dopo quasi 2 anni, riprendo quest’argomento da un punto di vista diverso: l’etichetta del pesce.
Quando compriamo pesce, sia esso in scatola, lavorato, o nel caso più semplice fresco, al banco del pesce, in pescheria o al supermercato, dobbiamo trovare una etichetta in corrispondenza della vaschetta (o spasella) del pesce esposto in vendita che ci dà alcune informazioni essenziali sia per valutarne la qualità sia per decidere se questo provenga da una pesca sostenibile o meno.
Nella mia esperienza la trovo spesso correttamente compilata al banco pesce dei supermercati, molto raramente invece nelle piccole pescherie.
Come è fatta?
Che informazioni ci dà?
In essa si possono trovare numerose informazioni: la nuova etichetta del pesce è entrata in vigore come norma europea nel 2014:
https://www.leporemare.com/etichettatura-del-pesce-banchi-pescheria-prova-controllo/
Per iniziare, le più importanti sono:
Nome del pesce, commerciale e scientifico.
Se allevato o pescato, ed in questo caso il Metodo di pesca.
Zona di provenienza.
https://www.greenme.it/consumare/sai-cosa-compri/etichette-pesce/
Occupiamoci solo di pescato di mare.
A questo punto, il dato più rilevante da leggere riguardo il metodo di pesca utilizzato:
ConsuMARE giusto ci dà una bella rassegna degli attrezzi da pesca. Anche Greenpeace.
Si va da quelli a minimo impatto, perché sono selettivi nella pesca del pesce, senza catturare altri animali, e perché non danneggiano gli ecosistemi: arpioni, trappole o nasse, canna da pesca o lenza, reti da circuizione nel Mediterraneo,
a quelli che possono essere a impatto limitato, come tramaglio, reti da imbrocco, reti da posta, palangaro di fondo o ami, sciabica, traino a mezz’acqua,
ai mezzi da evitare: reti a strascico di fondo, palangaro di superficie o ami, draga o draga idraulica.
l’Etichetta del pesce purtroppo non utilizza una terminologia così dettagliata.
Essa essenzialmente ci indica:
-sciabiche (impatto limitato)
-reti da traino (impatto variabile: limitato per traino a mezz’acqua, elevato per strascico di fondo)
-reti da imbrocco (impatto limitato)
-reti da circuizione (impatto minimo nel Mediterraneo)
-ami e palangari (impatto limitato per quelli di profondità, elevato per quelli di superficie)
-draghe (impatto elevato)
-nasse e trappole (impatto minimo)
Ma allora come possiamo capire con la dicitura reti se parliamo di forme a basso impatto o alto impatto o
se parliamo di palangari di superficie o di fondo?
Dobbiamo conoscere il tipo di pesca che bersaglio ha:
un pesce di fondale (come nasello, orata) pescato con palangari inevitabilmente farà riferimento ai palangari di fondo (ami), e quindi ad una forma di pesca accettabile per la sostenibilità.
Viceversa, un pesce di superficie (tonni e pesce spada) inevitabilmente ricadrà negli ami o palangari di superficie, dunque da evitare.
Quando approcciamo il pesce, il primo problema che si affronta è se la specie che si vuole comprare soffre di una pesca eccessivamente intensa oppure no, come abbiamo visto in passato.
In questo ci vengono in aiuto le guide che abbiamo visto prima (consumaregiusto, WWF, Slowfood, Greenpeace).
Il secondo problema invece è se questo pesce è stato pescato con mezzi sostenibili oppure no.
Tralasciando l’ipotesi dei datteri di mare, dove è lapalissiano il danno all’ecosistema (ma non per questo non girano tra i mercati di pesce della città, soprattutto a Natale), il problema fondamentale è quello del bycatch o cattura accessoria: si intende con esso una cattura non intenzionale, di specie non commerciabili, che spesso comporta la loro morte: tartarughe, delfini, squali e uccelli marini. Persino balene.
Non è un episodio occasionale: fino al 40% del pescato censibile (quindi di pescherecci di grosse dimensioni) appartiene a questa categoria.
https://www.fishforward.eu/it/project/by-catch/
http://www.lipu.it/proteggiamo-il-mare
Vediamo allora più nel dettaglio i vari attrezzi da pesca ed i problemi che possono provocare:
Il palangaro di superficie è il principale responsabile di catture accidentali con conseguenze negative sulla fauna marina (in particolare, tartarughe). E’ il mezzo di pesca privilegiato per pesce spada, tonno alalunga, tonno rosso.
Consiste di numerosi ami legati ad una cima che può trovarsi ad una profondità variabile, dipendentemente dalla specie che si vuole pescare, ma in genere abbastanza in superficie (dai 10 ai 50 metri).
Ingannati dall’esca, uccelli marini, tartarughe ed altri animali rimangono agganciati all’amo finché non vengono tirati a bordo.
L’amo può aderire non solo alla bocca ma penetrare nel tubo digerente, e quindi può non essere più estratto.
Se può aiutare a sensibilizzarci, la mortalità delle tartarughe non avviene all’aggancio dell’amo, ma più spesso al rilascio dopo la cattura accidentale, dopo una agonia per le conseguenze delle ferite provocate dall’amo (o per l’ingestione dell’amo).
Nel palangaro di fondo l’attrezzo viene invece adagiato al fondale: punta alla pesca di nasello, dentice, sarago, branzino..
In questa posizione la probabilità di cattura accidentale si riduce e quindi è uno strumento di pesca ad impatto limitato.
Riguardo alle specie oggetto di pesca con i palangari, vi rimando a questo esaustivo articolo sul bycatch di squalo ad opera dei pescherecci tunisini. Uno dei problemi, che alimenta questa pesca, è che al consumatore non sempre è facile distinguere pesce spada e squalo, quando è tagliato e pronto al consumo.
https://irpimedia.irpi.eu/mattanza-squali-tunisia/
La rete da traino è un grande imbuto che viene trainato dal peschereccio. Essa può trovarsi a mezz’acqua oppure sul fondale sabbioso, dove prende il nome di rete a strascico. L’attività di pesca può durare alcune ore, e la rete raccoglie tutto ciò che si trova nel percorso.
La rete a strascico è molto impattante, danneggiando l’ecosistema del fondale marino e, in caso di cattura di tartarughe, comportandone la morte per annegamento (rimangono troppo a lungo intrappolate nella rete e non possono salire a galla a respirare). Essa punta naturalmente a pesci e molluschi del fondale.
La rete a mezz’acqua o volante o pelagica punta alla pesca del piccolo pesce azzurro (acciughe e sardine).
In genere si usano anche in prossimità del fondo roccioso, ma mai a contatto.
La differenza che la rende un mezzo più sostenibile è dovuta al fatto che viene condotta per un tempo ridotto (1 ora). Questo perché altrimenti il pescato, fragile, si deteriorerebbe. Ma in un tempo ridotto una cattura accidentale risente meno della cattura e può essere rilasciata facilmente viva in mare.
Comunque, la ricerca scientifica aiuta a rivedere in maniera più sostenibile anche mezzi di pesca che lo sono poco, quali lo strascico. In spazi dedicati e tempi meno prolungati il danno è minore e la quantità di pesca inalterata.
Sciabiche: anche questa è una rete da traino per il fondale, che si distingue perché può essere manovrata dalla spiaggia, a mano, oppure da natante, in zone a basso fondale e sotto costa. La differenza, che la rende meno impattante, è che si trascina per uno spazio limitato e ad una velocità lenta, con una magliatura selettiva, che sia riduce la pesca accessoria sia consente di liberare ancora in vita l’eventuale fauna marina non voluta.
Punta però spesso ai piccoli pesci non ancora maturi (bianchetti).
Reti da posta fisse: a imbrocco, tremagli e incastellate.
Reti da posta derivanti: sono lunghe reti che vengono disposte per una profondità importante, possono essere ancorate al fondale (fisse) e libere alle correnti (derivanti). Il principio è quello di pescare i pesci che vengono intrappolati nelle maglie della rete. Sono le forme di reti più tradizionali e sono tipiche della piccola pesca costiera. L’utilizzo prevalente da parte di piccoli pescherecci le rende in genere a impatto limitato.
Un problema importante però delle reti da posta è che esse possano essere abbandonate perché non più recuperabili e continuare a intrappolare e uccidere pesce e fauna marina. Vale soprattutto in considerazione del fatto che il materiale di cui sono costituite è plastica, notoriamente duraturo e nocivo per il mare.
https://www.argentariodivers.com/reti-fantasma-un-problema-unisce-pescatori-subacquei/
Reti a circuizione: sono quelle a minore impatto. Si attrae il pesce in un’area ad esempio con una luce di notte (lampara) oppure si riconosce un banco di pesce e si cala una rete attorno all’area. In tempi rapidi si solleva. Consente di rilasciare subito in mare ogni tipo di cattura accidentale.
Esiste però un problema. Si può utilizzare un attrattore per fauna marina, che viene lasciato alla deriva per giorni. Dopodiché si procede con le reti a circuizione intorno all’area dove si è convogliata la fauna marina. In questo caso, la pesca accidentale aumenta. E’ un problema tipico di aree del mondo a scarso controllo, meno del Mediterraneo.
Draghe: sono come un aratro sul fondale marino, che muove il fondale sabbioso e raccoglie tutto ciò che vi si trova adagiato sopra. Lo strumento più frequentemente usato è la draga meccanica turbosoffiante. Sono un mezzo ideale sia per i pesci di fondale (come sogliole e rombi) sia per i molluschi che vi vivono a contatto (vongole, cannolicchi ed altro).
Anche se la cattura di fauna marina accidentale è limitata, esse danneggiano in maniera significativa l’ecosistema del fondale marino.
Nasse e trappole: sono strumenti artigianali che consentono una cattura estremamente selettiva e che pescano un animale vivo, per cui se anche non rientra nella specie target può facilmente essere liberato senza danni. Target sono in genere crostacei marini, quali granchi, aragoste, gamberi.
Un approfondimento sulla piccola pesca o pesca tradizionale o pesca costiera:
https://www.hellofish.it/P42A0C0S392/Piccola-pesca-artigianale.htm
Fonti:
http://www.tartalife.eu/sites/default/files/galleria/tartalife_d1.pdf
https://www.isprambiente.gov.it/contentfiles/00010100/10119-icram-vol3.pdf
https://www.politicheagricole.it/flex/files/a/8/4/D.0d2c39ef0cdffa84bf1f/cap4.pdf
http://www.cirspe.it/pubblicazioni/1414077873.pdf
Il progetto TartaLife che vede coinvolti istituzioni politiche (regioni), scientifiche (CNR) e Legambiente dimostra come la sensibilizzazione dei pescatori e modifiche di tecniche di pesca che mantengano alta qualità e quantità del pescato siano promettenti nel ridurre in maniera significativa il numero di catture accidentali di tartarughe marine oppure nel rendere le catture meno mortali, consentendo un pronto rilascio in mare dopo la cattura e limitando i danni provocati dallo strumento di pesca.
Per esempio, modifiche dell’amo usato dai palangari ne limitano i danni mortali per la tartaruga.
Oppure, una modifica alle reti da traino (il cosiddetto TED) che consente alla tartaruga di non essere catturata dalla sacca al traino.
Ma questo difficile percorso in atto nel Mediterraneo e che si basa in gran parte sulla partecipazione dei pescatori non avviene in altre zone di pesca del mondo.
Ecco perché il terzo dato che dobbiamo leggere sull’etichetta, la provenienza, è di grande significato per accertarci di non fare un cattivo acquisto.
La FAO dimostra come la richiesta di pescato da parte di Stati ricchi, tra cui quelli europei, possa danneggiare le risorse di stati poveri, oppure associarsi ad uno sfruttamento esteso di manodopera, con pessime condizioni di lavoro, o ad un danneggiamento dell’ambiente. Dunque la zona di provenienza è un dato indispensabile. Non mancano, specie nei prodotti surgelati o in scatola (tonno pescato nell’oceano Indiano) provenienze dall’altro lato del pianeta con scarsissime tutele ambientali e umane.
http://www.fao.org/documents/card/en/c/ca9229en
O anche, per un pesce la pressione di pesca può essere molto elevata in una zona e non in un altra, per cui preferire quella sottoposta a stress minore(mare Adriatico rispetto a mar Tirreno, Mediterraneo rispetto a Atlantico etc).
http://www.fao.org/3/v9878i/v9878it00.htm
Spesso è presente in pescheria appeso al muro un grande atlante mondiale con elencate le zone FAO di pesca.
Ad esempio, il Mediterraneo appartiene alla zona FAO n. 37.
Qui un elenco completo:
https://mare.istc.cnr.it/fisheriesv2/fishing-areas_it
A questa nostra attenzione e conoscenza, nella scelta del pesce, del metodo di pesca e della zona di provenienza, si può aggiungere la certificazione di pesce sostenibile.
Un distintivo di provenienza certificato che il metodo di pesca, per la zona e per la specie pescata, è controllato ed è definito sostenibile da enti terzi, tra cui il WWF.
Può venirci in aiuto in special modo quando desideriamo prendere un pesce la cui sostenibilità varia proprio in base a zone di provenienza e tecniche di pesca.
E’ una scelta che spesso troviamo in opzione tra i prodotti surgelati.
Al termine di questa lunga rassegna, possiamo notare alcune questioni veramente importanti:
Alcuni pesci hanno una pressione di pesca molto elevata: tonno, merluzzo per fare alcuni esempi.
Alcuni pesci vengono pescati con strumenti che danneggiano l’ecosistema marino, che uccidono altre specie viventi quali delfini, squali, tartarughe, uccelli marini: pesce spada, ma anche sogliola, rombo.
Esistono alternative a minore impatto, sia nella scelta del pesce (lo sgombro, le alici) oppure nel metodo di pesca.
Sopratutto, incrociando pesce, tipo di pesca e provenienza faremo la scelta più giusta.
In aiuto, le guide e le istruzioni degli enti che hanno studiato il problema oppure la certificazione di sostenibilità.
Per alcuni pesci, ma questo sarà un altro argomento, esistono ottime alternative negli allevamenti di qualità (rombo, orate).
Facciamo infine caso che le specie di pesce commestibili e commerciabili sono davvero tante.
Eppure, nella stragrande maggioranza di ristoranti che servono pesce crudo a basso costo, ma anche se ci riferiamo a scelte più fini o paninoteche, gran parte del pesce servito appartiene ad un numero ridotto di specie che però abbiamo visto essere proprio quelle più problematiche.
A noi i mezzi per preferire un pesce di qualità e per tutelare il mare.