Introduzione

ECOLOGIA, CUCINA E ECONOMIA DOMESTICA: L'INIZIO.

Le azioni quotidiane più semplici, come fare la spesa, cucinare, raccogliere i rifiuti, vengono perlopiù svolte seguendo insegnamenti di ba...

domenica 22 marzo 2020

INQUINANTI URBANI DELL’AMBIENTE ESTERNO

Le problematiche connesse con l’infezione da Coronavirus quest’anno hanno alterato la percezione dell’inquinamento dell’aria delle città italiane.
Stiamo avendo preoccupazioni maggiori di questa. 
Ma abbiamo avvertito tutti, tra i pochi effetti positivi di questa quarantena, il senso di benessere che si prova in una città senza traffico, silenziosa, con spazio alla natura di inizio primavera.
Abbiamo anche visto come le immagini satellitari mostrassero in Cina una significativa riduzione dell’inquinamento da NO2 dovuta al netto calo delle attività lavorative e degli spostamenti. 

Eppure, ogni anno in Italia, soprattutto in pianura padana, l’inquinamento è uno dei principali motivi di preoccupazione.
Si percepisce il problema, il bisogno di soluzioni, ma poi trascuriamo di informarci adeguatamente sugli inquinanti, il loro ruolo nella patologia, la loro origine e le modalità che abbiamo per contrastarli. Quasi sempre attribuiamo le principali colpe al traffico veicolare, certo non a torto, soprattutto ai veicoli alimentati a gasolio. Talora anche all’inquinamento industriale.

In quest’occasione vorrei passare in disamina i principali inquinanti dell’ambiente esterno di una città italiana, il pericolo che rappresentano per la salute, le fonti di emissione, i mezzi a disposizione per contrastarli e gli strumenti per monitorarli.

Poiché si tratta di un argomento dove è importante avere una robusta base scientifica, ho fatto maggiore attenzione alle fonti, rivolgendomi anzitutto alle pagine ARPA (agenzia regionale per la protezione ambientale) e ISPRA (istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).

Incominciamo dal problema di salute. Gli inquinanti atmosferici provocano o peggiorano malattie cardiovascolari (infarto, aterosclerosi, ictus), polmonari (broncopneumopatie croniche) e neoplastiche (carcinoma polmonare).
Nel 2016 in Italia si possono stimare 58.600 morti dovute alle elevate concentrazioni di PM2,5 14.600 morti per NO2 e 3.000 morti per O3.
In termini assoluti i dati italiani sono tra i peggiori in Europa. La fonte è l’autorevole agenzia europea per l’ambiente nel report Air quality in Europe 2019.

In tutte le città italiane esistono stazioni di monitoraggio dei principali inquinanti. l’ARPA di ogni regione ne stila un bollettino quotidiano e lo rende pubblico.
Per Napoli e la Campania vi rimando a questa pagina:

Possiamo trovare diverse stazioni sparse in tutta la città e la regione. Questo ci può anche aiutare a capire le zone più e meno inquinate.
Notiamo che sono monitorati NO2 CO PM10 PM2,5 O3 BENZENE SO2.
Ma cosa significano queste formule chimiche? Vediamole una per una.

I principali inquinanti dell’aria esterna sono:

gas inorganici:
biossido di azoto (NO2) Gli ossidi di azoto (NOx) si formano durante qualsiasi combustione dove l’aria sia il comburente, poiché in essa sono presenti azoto e ossigeno. 
Di norma la produzione antropica di NO2 è <10% del costituente dell’aria di questo inquinante, che si forma invece soprattutto come secondario, cioè in atmosfera in seguito a reazioni chimiche a partenza da altri composti, soprattutto monossido di azoto (NO).
Le condizioni atmosferiche sono determinanti nel favorire o meno la sua concentrazione e la formazione di ulteriori inquinanti secondari.
Le principali fonti di emissione antropiche urbane sono le combustioni dei motori per i trasporti (circa il 55% delle fonti, ed in particolare il motore Diesel), gli impianti industriali (17%), gli impianti di produzione di energia elettrica, di riscaldamento, di incenerimento dei rifiuti, il porto (15%).
In particolare a Napoli e a Livorno si stima che almeno il 50% delle emissioni dipendano dal porto e dalle attività con esso connesse.
Il monitoraggio è orario ed il limite consiste nel valore di 200 μg/m3 ora che non può essere superato più di 18 volte nell’arco dell’anno.
Anche Napoli è tra le molte città italiane in cui il limite annuale viene tuttora superato.
Comunque, nonostante gli sforamenti dei limiti massimi definiti, si apprezza una riduzione complessiva delle emissioni urbane italiane negli ultimi 15 anni, che scendono da circa 370.000 tonnellate nel 2005 a circa 220.000 tonnellate nel 2015 (riduzione del 40%).

monossido di carbonio (CO) Si forma in qualsiasi processo di combustione in conseguenza di un’incompleta ossidazione del materiale combustibile contenente carbonio.
La combustione non industriale e il trasporto su strada sono le principali fonti antropiche in Italia.
E’ causa di decessi fatali come inquinante degli ambienti interni in caso di malfunzionamento di sistemi domestici per il riscaldamento (stufe, camini, caldaie etc).
E’ un inquinante in costante e significativo decremento a partire dagli anni 80 del Novecento.
Il monitoraggio è valutato con una media calcolata su 8 ore e non può superare mai i 10 mg/m3. 
In Italia le stazioni di monitoraggio non riportano superamenti dei limiti.

ozono (O3) E’ un inquinante di tipo secondario. L’accumulo di O3 nella troposfera (la parte più bassa dell’atmosfera, da 8 a 16 km a partire dal suolo) dipende dal contemporaneo verificarsi di più condizioni: l’emissione di inquinanti primari, condizioni meteorologiche favorevoli (alte temperature, bel tempo e scarso vento), l’entità della radiazione solare.
In tale contesto favorente è definito smog fotochimico la trasformazione in O3 a partire da determinati precursori quali ossidi di azoto e composti organici volatili, ed è difficile risalire al rapporto dose effetto per la limitazione di essi e l’ottenimento di un decremento di O3. I precursori primari sono quelli prodotti dalle emissioni da trasporto su strada, dalla produzione e utilizzo di solventi organici o di preparati che li contengono, dai processi di combustione nella produzione di energia e nell’industria.
Un dato importante è che si può accumulare anche a distanza della fonte di emissione.
Purtroppo di questo non è stato evidenziato negli ultimi 20 anni alcun trend diminutivo significativo.
Inoltre, non solo incide sulla salute umana ma anche provoca problemi all’ecosistema, all’agricoltura e ai beni materiali.
Il monitoraggio avviene come valore orario ed esistono 2 livelli di soglie: soglia di informazione 180μg/m3 e soglia di allarme 240μg/m3.
Sostanzialmente tutti i comuni italiani monitorati evidenziano superamenti della soglia limite iniziale. 
Lo smog fotochimico è un inquinante principalmente estivo e non invernale, si concentra maggiormente nelle ore centrali della giornata ed è condiviso da tutta l’Europa meridionale con affaccio sul Mediterraneo.

biossido di zolfo (SO2) Anche noto come anidride solforosa, questa emissione dipende dal contenuto di zolfo nei combustibili. L’utilizzo del gas naturale (metano) ed il minore uso del carbone sono tra le cause del decremento osservato a partire dagli anni 80 del Novecento, ed evidente anche negli ultimi 10 anni, dalle circa 130.000 tonnellate emesse nelle aree urbane nel 2005 alle circa 30.000 tonnellate nel 2015 (riduzione di oltre il 75%).
Le emissioni di SO2 sono comunque legate alle attività industriali e quindi maggiori nelle città che vi sono maggiormente devote. Le attività industriali impattano per circa l’82% delle emissioni. Nelle città prive di significativa attività industriale è invece significativo il riscaldamento domestico e l’attività portuale (quando presente) come fonte di emissione.
Il monitoraggio avviene come valore orario ed il limite di 350μg/m3 non può essere superato più di 24 volte nell’arco dell’anno.
In Italia le stazioni di monitoraggio non riportano superamenti dei limiti.

materiale particolato Si tratta di una sospensione di particelle solide o liquide relativamente stabili nell’aria e viene diviso in particelle con diametro inferiore a 10μ PM10 (particelle grosse) e particelle con diametro inferiore a 2,5μ PM2,5 (particelle fini).
Tale distinzione volumetrica oltre a rendere conto di costituenti diversi (e quindi fonti di inquinamento) consente anche di distinguere effetti diversi che possono avere in patologia umana. E’ infatti la quota più piccola delle particelle fini quella che raggiungendo gli alveoli polmonari può provocare i danni più gravi alla nostra salute.
I principali componenti chimici che li compongono derivano da nitrati secondari (tra cui NO2), combustione di biomasse, industrie, solfati secondari e oli pesanti, traffico (sia di provenienza del motore sia di attrito di ruote e freni), polvere (anche di provenienza del Sahara, che diventa rilevante nelle città meridionali), aerosol marino (per le città costiere). 

PM10 La principale fonte urbana di emissione di PM10 primario è il riscaldamento domestico (più del 50%) quando esso utilizza biomassa legnosa (la legna del camino, il pellet delle stufe). I trasporti stradali costituiscono il 20% delle emissioni primarie di PM10 e tuttavia per l’emissione di composti azotati contribuiscono in maniera considerevole a formare PM secondario. Una terza fonte rilevante è l’industria (15%).
Il particolato primario viene quindi direttamente emesso da riscaldamento, trasporti, industria e fenomeni naturali.
Il particolato secondario è invece conseguenza di trasformazioni in atmosfera a partenza da altre sostanze inquinanti quali ossidi di azoto in buona parte provenienti dai trasporti su strada, i composti organici volatili (COV) derivanti dall’uso dei solventi ma anche da emissioni biogeniche o l’ammoniaca (NH3) che discende prevalentemente dalle attività agricole.
La formazione di PM secondario non è direttamente proporzionale alle quantità dei precursori per la complessità delle trasformazioni coinvolte (come per lo smog fotochimico).
Per il PM10 si è osservato un decremento di circa il 20% nelle città italiane negli ultimi 15 anni, scendendo da 45.403 tonnellate nel 2005 a 36.712 tonnellate nel 2015.
Tale decremento è lento ma costante dagli anni 80 ad oggi.
Il monitoraggio del PM10 avviene con la valutazione della media giornaliera, che non può superare il valore di 50μg/m3 più di 35 volte all’anno. 
Purtroppo diverse città italiane tra cui Napoli registrano superamenti dei valori limite previsti (Napoli: 43 volte dei 35 massimi nel 2017, 37 nel 2018 e 36 nel 2019, rilevamento alla Ferrovia. Ma i valori peggiori riguardano la provincia).


PM2,5 La parte fine del particolato può derivare come fonte primaria da tutti i processi di combustione, in particolare i combustibili solidi (carbone e legna) o petroliferi (gasolio, olio combustibile). Quindi gas di scarico di veicoli, impianti per la produzione di energia e processi di combustione nell’industria, impianti per il riscaldamento domestico, incendi boschivi.
Per la fonte secondaria trasformazioni a partire da ossidi di azoto, ossidi di zolfo, ammoniaca.
Il monitoraggio è ottenuto da un valore medio annuale che non deve essere superato ed è di 25μg/m3.
Per questa quota i superamenti avvengono principalmente in pianura padana, nonostante si apprezzi comunque un trend decrescente negli ultimi 15 anni.
Il decremento del PM2,5 è dovuto al maggiore utilizzo di gas naturale come combustibile rispetto ad olio e carbone e al miglioramento degli inquinanti di origine veicolare (filtro antiparticolato e normative EURO anti inquinamento).

idrocarburi policiclici aromatici (IPA) vengono prodotti nei processi di combustione incompleta di materiali organici e sono quasi totalmente assorbiti sul materiale particolato.
Molti di questi composti sono cancerogeni e l’esposizione è simultanea.
Un composto indicatore della categoria è il benzo(a)pirene.
benzo(a)pirene
Le sorgenti principali sono le combustioni non industriali, i processi produttivi nell’industria del ferro e dell’acciaio e l’incenerimento dei rifiuti agricoli all’aperto, ma anche il riscaldamento domestico a biomassa legnosa e il trasporto su strada.
il benzoapirene è un IPA cancerogeno (carcinoma polmonare).

composti organici volatili (COV): benzene, formaldeide.
Le fonti sono l’uso di solventi, vernici, detersivi (50%), riscaldamento (20%) e trasporti (20%).
Anche per questi composti si osserva una netta riduzione passando da circa 350.000 tonnellate nel 2005 a 225.000 tonnellate nel 2015 (riduzione di oltre il 25%).
benzene fonti sono processi di combustione per la produzione di energia e per i trasporti, riscaldamento domestico e processi evaporativi presso i siti produttivi, i siti di distribuzione (pompe di benzina) e gli utenti finali (autoveicoli). Il traffico veicolare comunque ne è la principale fonte di emissione in quanto il benzene è contenuto nella benzina. Dal 1998 il limite nella benzina è dell’1% del volume. Di conseguenza già dal 1998 si è osservato un netto decremento, e dal 2005 con 3.000 tonnellate di emissioni si è scesi a 1.200 tonnellate di emissioni nel 2015 con una riduzione del 30%.
Come monitoraggio, il valore medio annuale di 5μg/m3 non può essere superato.
Superamenti avvengono comunque nei più grandi agglomerati urbani di tutta Italia.

FACCIAMO IL PUNTO DELLA SITUAZIONE:
L’inquinamento dell’aria urbana è un determinante importante per la nostra salute.

Anche se in Italia e in Europa c’è stata una significativa riduzione dei livelli dei principali inquinanti, alcuni di essi (principalmente PM10 NO2 e O3) persistono oltre i livelli minimi considerabili accettabili dalla WHO e minano il nostro benessere. Peraltro, al confronto con gli stati europei, l’Italia ed in particolare la pianura padana rappresenta uno dei siti a maggior inquinamento.

La riduzione degli inquinanti che abbiamo visto negli ultimi 20-30 anni, per le emissioni urbane e domestiche, è dovuta principalmente all’uso di combustibili meno inquinanti negli impianti di riscaldamento e all’introduzione dei catalizzatori e del filtro anti particolato nei veicoli, più in generale all’adozione di normative EURO anti inquinamento più stringenti.

Inadeguati invece gli sforzi effettuati per la riduzione di O3.

Abbiamo infine visto che in inverno prevale uno smog urbano con incremento di concentrazioni di PM10, PM2,5 e NO2, favorito dal contemporaneo verificarsi di incremento di traffico veicolare, accensione di impianti di riscaldamento e condizioni meteo, mentre in estate è prevalente uno smog fotochimico da O3 (anch’esso determinato da condizioni meteo).

fonti
una rapida sintesi:

documenti di approfondimento:
ISPRA Focus su inquinamento atmosferico nelle aree urbane ed effetti sulla salute 2016
ISPRA Analisi dei trend dei principali inquinanti atmosferici in Italia (2008 - 2017)
ISPRA Dati sull’ambiente 2018
ISPRA Qualità dell’ambiente urbano 2018
EEA Air quality in Europe 2019
Ministero dell’ambiente

A questo punto, qualche domanda:

Sentiamo spesso, d’inverno, che le condizioni meteorologiche (temperatura, vento e pioggia) hanno un ruolo determinante per l’inquinamento atmosferico.
Quasi come a dire che la colpa è del clima e non delle emissioni. 
E poi magari noi napoletani ci consoliamo per la vicinanza al mare che pulisce tutto.
Che cosa c’è di vero?

Le condizioni meteorologiche sono determinanti: da un lato possono incrementare l’inquinamento aiutando la concentrazione degli inquinanti o favorendo la formazione di inquinanti secondari, dall’altro possono ridurre l’inquinamento favorendo la dispersione degli inquinanti o impedendo la loro formazione secondaria.
Al crescere dell’intensità del vento e dell’instabilità atmosferica (piogge e temporali) diminuisce la concentrazione di inquinanti.
Al contrario, inversione del gradiente termico verticale (che impedisce all’aria inquinata urbana di rimescolarsi in atmosfera), condizioni di alta pressione notturna (cielo sereno) e carenza di vento (stagnazione) o presenza di nebbia persistente aumentano l’inquinamento.

Quindi un rimescolamento continuo dell’aria, cui contribuisce la brezza marina, aiuta a disperdere gli inquinanti atmosferici. Ecco perché le città di mare sono favorite.

E le piogge che portano sabbia provenendo dal Sahara? Oltre a sporcare, contribuiscono, in maniera limitata e occasionale, all’aumento del particolato.

Anche l’orografia del territorio è importante: la stagnazione e l’inversione del gradiente termico verticale avvengono prima nei luoghi pianeggianti o circondati da rilievi (fondovalli).

Come proteggersi dall’inquinamento atmosferico fuori casa e dentro casa?
La precauzione maggiore a nostra disposizione è quella di limitare l’esposizione al traffico veicolare.

Quando siamo in casa ci esponiamo anche a specifici inquinanti dell’ambiente interno, che approfondiremo prossimamente.
Il controllo di temperatura e umidità insieme con una ventilazione adeguata sono indispensabili per diminuire gli inquinanti dell’ambiente interno.
D’altra parte, abitare in prossimità (entro 300 m) da una fonte significativa di traffico veicolare (strada a intenso traffico, più di 10.000 veicoli al giorno, ad esempio rampa di tangenziale) è un fattore limitante. Sarebbe preferibile quindi limitare la ventilazione aprendo le finestre agli orari di traffico meno intenso. 
Più in generale, bisognerebbe evitare di abitare così in vicinanza di una strada a intenso traffico veicolare. 

Quando siamo fuori casa possiamo adottare diverse precauzioni. 
Le più semplici sono quelle di evitare le strade più trafficate o gli orari in cui esse sono più trafficate. Purtroppo la gran parte di noi ha bisogno di percorrerle in quegli stessi orari perché sono le vie che ci portano a lavoro.
D’estate, bisogna limitare gli spostamenti e l’esposizione all’aria esterna nelle prime ore pomeridiane (12-18) per l’inquinamento da O3 dello smog fotochimico.
Particolare attenzione va fatta se si intende fare jogging. In questo caso, d’inverno, sono da preferire le giornate ventose o piovose. Per i bambini piccoli vanno preferiti i marsupi ai passeggini, ché li tengono più in alto e lontani dalle maggiori concentrazioni di inquinanti che sono a 30-50 cm dal suolo.

Occorre indossare una mascherina?
Nel caso in cui si abbia necessità di passare lungo tempo nel traffico veicolare può essere una buona idea. E’ essenziale però che sia del tipo FFP (filtering facepiece particles). La più efficace è quella FFP3, ma per una esposizione breve (percorso casa lavoro) tutte le FFP sono adatte.


Infine, come possiamo contribuire a ridurre l’inquinamento atmosferico?
Principalmente in due modi: nelle scelte che facciamo per i nostri spostamenti urbani e nel riscaldamento domestico.

Le scelte che coinvolgono i nostri spostamenti per inquinare meno sono le stesse che consentono di emettere meno CO2.
Limitare gli spostamenti, preferire quelli pubblici a quelli privati, la bicicletta e i motori elettrici a quelli a combustione, il treno all’aereo.
Ne abbiamo parlato pochi mesi fa:

Bisogna però anche riconoscere che l’introduzione nel 1993 della marmitta catalitica (EURO 1) insieme con il bando della benzina con piombo, il filtro antiparticolato nei motori a gasolio e tutte le successive norme EURO anti inquinamento sono alla base del netto decremento di inquinanti che abbiamo osservato negli ultimi 30 anni. Come abbiamo visto, comunque non sufficiente.

Oggi la normativa più recente è quella EURO 6d standard (in vigore per tutti i nuovi veicoli venduti a partire dal 1 gennaio 2021 e tutti i nuovi modelli messi sul mercato a partire dal 1 gennaio 2020):
I limiti di emissione di queste automobili sono: 
CO 0,5 g/km per i Diesel e 1g/km per i motori benzina; 
NOx (ossidi di azoto) 120 mg/km per i motori Diesel e 90mg/km per i motori benzina; 
Particolato: 600 miliardi di particelle per km per entrambi i motori.
Per i motocicli, la più recente normativa è quella EURO 5 (in vigore per tutti i nuovi veicoli venduti a partire dal 1 gennaio 2021):
limiti di emissione: 
1g/km di CO; 
0,1g/km per IPA; 
60mg/km di NOx; 
4,5mg/km per il particolato.

La normativa EURO 6 aveva fatto esordio nel 2015.
Ma a seguito dello scandalo Dieselgate, per cui in fase di omologazione alcuni costruttori ottenevano un valore di emissione nettamente inferiore a quello reale, sono state fatte delle importanti modifiche nel ciclo di omologazione abbandonando il vecchio ciclo noto come NEDC (New European Driving Cycle) e passando al WLTP (Worldwide harmonized Light vehicles Test Procedure) per avere valori vicini a quelli reali.
Questo ha determinato il progressivo passaggio da 6a via 6b 6c 6d-temp al prossimo 6d.

Ma comunque, rispetto alle auto di 20 anni fa EURO2 la differenza è notevole:
esse emettevano, nel vecchio ciclo di calcolo NEDC: 
CO 1 g/km per i Diesel e 2,2 g/km per i motori benzina; 
NOx 700 mg/km per i Diesel e 500 mg/km per i motori benzina;
particolato: 80 mg/km per i motori benzina e Diesel.

Le moderne auto EURO6d emettono almeno il 50% in meno di CO e il 60% in meno di NOx e particolato.
E’ un dato di cui si deve assolutamente tenere conto nel valutare lo svecchiamento del parco auto circolanti e che certamente contribuisce alla riduzione dell’inquinamento ambientale che abbiamo osservato dal 2005 a oggi.

Approfondimenti:
L’edizione Malaria di Legambiente che ci aggiorna sugli inquinanti che persistono nelle città italiane e soprattutto sulle più interessanti iniziative che possono adottare i comuni per favorire la mobilità elettrica e collettiva, riducendo quindi il complessivo numero di veicoli in circolo. 

Una tesi di laurea che spiega in maniera chiara come vengono ottenuti i dati di emissioni delle auto e come sono stati trasformati i motori negli ultimi 30 anni per rispettare le normative EURO anti inquinamento:
A seguito dello scandalo Dieselgate è avanzato un dubbio generale sul motore Diesel.
Da una parte, si è persa la fiducia che il motore a gasolio possa rispettare i necessari requisiti anti inquinamento e si pone l’attenzione sulla necessità di investire nel motore ibrido o elettrico, ed anche nell’uso di fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica.
Dall’altra, il fatto che il parco auto circolante è composto per il 33% da auto che precedono le più stringenti normative anti inquinamento (da EURO4 a oggi) e le nuove EURO6d cominciano solo nel 2020 ad essere sul mercato. Non possiamo ancora vedere i benefici dei nuovi motori.

C’è anche chi invece pone il problema dell’intero ciclo, dall’assemblaggio delle parti al loro smaltimento a fine vita dell’auto, e si ripropone il problema: inquina più nella sua globalità, un’auto elettrica o un’auto a gasolio?

Difficile ottenere una risposta unica. Sicuramente il nostro ruolo consiste nel limitare gli spostamenti con i veicoli, preferire il trasporto pubblico ed i mezzi meno inquinanti (il treno rispetto all’aereo). Nella necessità dell’utilizzo dell’automobile privata, le auto di nuova immatricolazione EURO6d insieme con i veicoli ibridi ed elettrici, soprattutto se alimentati a energia rinnovabile, sono un significativo vantaggio per l’ambiente. La scelta può anche essere diversificata secondo l’utilizzo più frequente: in città i veicoli ibridi ed elettrici danno il meglio, il motore a benzina a GPL e a metano è una via di mezzo e quello a gasolio lo dà fuori dai centri urbani (garantendo lunghe percorrenze e bassi consumi).

Un aspetto spesso trascurato è che la quota percentuale di particolato primario non emesso dalla combustione del motore ma dallo spostamento del veicolo raggiunge il 40% (grazie alle normative anti inquinamento EURO). Dipende dall’attrito di gomme su asfalto e dei freni. Questo è dipendente dalla massa del veicolo. Per ridurre questa quota di inquinante si devono preferire auto con massa inferiore (piccole e più leggere).  

Il secondo contributo che ogni cittadino può dare è nei mesi invernali con il riscaldamento domestico.
Di questo tema parleremo approfonditamente in futuro.
Ci sono più punti su cui intervenire. 
Il primo, riguarda investimenti sostanziali: la costruzione e l’alimentazione dell’impianto di riscaldamento che deve essere moderno ed efficiente e soprattutto conta la sua alimentazione: la legna inquina più del metano. Quello elettrico (la pompa di calore), quando possibile, è il meno inquinante per l’aria urbana. 
Il secondo è l’ottimizzazione dell’impianto, cioè tenere la caldaia in manutenzione, i caloriferi sgombri.
Il terzo è nell’intensità d’uso che ne facciamo. Che sia un’accensione occasionale o regolata da un termostato, non è necessario riscaldare troppo la casa. Bisogna profittare dell’irraggiamento solare quando è disponibile. Una temperatura in casa di 20 ma anche di 19 gradi centigradi determina un significativo abbattimento delle emissioni (e dei consumi e della bolletta) mantenendo un confort e una salubrità accettabile.
Ma non dimentichiamo che anche l’acqua calda può essere alimentata dalla caldaia. Docce brevi e un utilizzo razionale in cucina e lavanderia aiutano allo scopo.

Ultimo. Il contributo di ognuno di noi è formidabile, ma parte della battaglia deve essere combattuta dalle amministrazioni del territorio, non solo riducendo le emissioni e facilitando la mobilità collettiva, ma anche contrastandone i loro effetti. Come si può fare? Prima di tutto piantando alberi. Poi promuovendo l’uso di materiali di costruzione e vernici cattura inquinanti.


Bene, teniamo vivo questo discorso perché ha molta influenza sulla nostra salute, sul nostro benessere ed i dati che abbiamo pongono l’Italia piuttosto in coda rispetto al resto d’Europa.

martedì 10 marzo 2020

Stille di raccolta differenziata 3. contenitori di alimenti in frigorifero

Apriamo adesso un vasto argomento, quello del destino di tanti contenitori, involucri, incarti, vaschette che contengono gli alimenti che comperiamo. Ce ne sono tanti, e i gusti sono diversi, difficilmente copriremo le esigenze di tutti. Però se segnalate interesse per qualche particolare prodotto possiamo approfondire e aggiungere dati alla raccolta.

Spero abbiate il tempo di leggere tutto ma se non riuscite potete ricorrere a questa piccola guida da stampare ed avere sempre in evidenza per il corretto smistamento dei rifiuti dei contenitori per alimenti:

Iniziamo dalla spesa che riponiamo nel frigorifero:

contenitore del latte, di succhi ed altre bevande per la colazione
Che si prenda latte o una bevanda alternativa, in genere la giornata inizia per tutti con qualcosa da bere.
I più frequenti contenitori sono bottiglie di vetro, bottiglie di plastica e contenitori in Tetra Brik (Tetra Pak).
Per il vetro la risposta è intuitiva. Il vetro va nel vetro e il tappo come abbiamo visto nella precedente stilla (nel latte che compro io è un tappo di metallo). Si tratta però di una scelta infrequente, quella della bottiglia in vetro. Peraltro, l’ideale sarebbe che fosse un vetro a rendere, per un riuso che senz’altro è più vantaggioso per l’ambiente rispetto al riciclo.

Eppure, anche in contesti virtuosi, sembra difficile vedere il ritorno del vetro a rendere. Più facile riciclarlo.

Per la bottiglia di plastica, essa in genere è in plastica trasparente ed è in PET, come le bottiglie d’acqua. Si tratta del polimero (PET, plastica di tipo 1) più facilmente riciclabile. Ma attenzione, non dimentichiamo la presenza di una fascetta in plastica che fa da etichetta e del tappo. In genere sono rispettivamente in polietilene a bassa (LDPE tipo 4) e ad alta densità (HDPE tipo 2): vanno nella plastica e con buona probabilità verranno riciclati.

Per il Tetra Pak, ne abbiamo già parlato nel riciclaggio della carta.

Si tratta del primo e più famoso imballaggio poliaccoppiato, nato in Svezia nel 1951 e tuttora tra i più diffusi al mondo, con parti in plastica, carta e alluminio, dove la parte maggiore percentuale è di carta. In Italia viene avviato al riciclaggio e recupero della parte in carta, pertanto è con essa che nella maggior parte dei comuni italiani va gettato.
Di seguito l’impegno dell’azienda per la sostenibilità ambientale.

involucro del burro
Non se ne consuma tanto di burro in Italia, malvisto per l’origine animale e per la quota di acidi grassi saturi, eppure dal sapore così buono e a piccole dosi sicuramente tollerabile, comunque non manca nella maggioranza dei frigoriferi.
In genere il burro è avvolto in una carta di color alluminio, qualche volta invece ha un aspetto più francamente cartaceo. Dipende dalle marche. Di cosa è fatto quest’involucro? Dove si butta?
Ruminantia ci dice che possono essere involucri poliaccoppiati, carta + plastica, oppure carta cerata. 

Quanto al destino di questo imballaggio, è il secco indifferenziato. Il poliaccoppiato e la carta cerata sporca non sono destinati al riciclo.

Una speranza è che si possa utilizzare un incarto compostabile in carta cerata. Del resto nella catena del freddo si stanno diffondendo sempre più gli involucri compostabili (pensiamo alle vaschette di gelato già dall’estate scorsa diventate compostabili invece che di plastica).

Ad ogni modo, il burro una volta aperto va trasferito nella burriera. Ce ne sono di vario tipo, in vetro, metallo o plastica, conservano bene il burro nel frigorifero e sono eleganti per presentarlo.

vasetti dello yogurt
Possiamo trovare yogurt in vetro, ad esempio quando si va nelle famose aziende agricole e casearie del Cilento. O magari per qualche filiera pregiata. Ma il grosso dei vasetti di yogurt, di vario formato, è di plastica, senza tappo ma con una protezione di alluminio.
Dove si buttano? l’alluminio, per quanto sottile e leggero, verrà riciclato al 100%.
Il vasetto in plastica può essere in due polimeri diversi: polipropilene (PP, tipo 5) e polistirene (PS, tipo 6). Il primo anche se con qualche difficoltà potrà venire riciclato; il secondo è allo stato improbabile in Italia.
Anche se vanno gettati nella plastica, non sono due materiali sovrapponibili dal punto di vista ecologico. Certo, prima di tutto la qualità e il gusto dello yogurt, ma un occhio al vasetto nella nostra scelta è importante.
In ogni caso, è bene sciacquarli: qualcuno provvederà a smistarli, anche se grossolanamente e assistito da una macchina in qualche stabilimento, e gradirà la maggiore pulizia.
Infine, esistono quelli da bere. Come il kefir. Questi hanno in genere una bottiglia di plastica in PET ben riciclabile. 

La ricerca per riciclare il polistirene comunque va avanti. La speranza è di poter comprare un yogurt in un vasetto 100% di plastica riciclata. O anche che il polistirene dei vasetti possa essere riutilizzato in edilizia come isolante.

Riutilzzo creativo dei vasetti di yogurt: alcune idee.

involucri di formaggio
Esistono formaggi a pasta molla e spalmabili come lo stracchino, e formaggi a pasta dura, come il provolone. Formaggi freschi, come la mozzarella, e formaggi stagionati, come il grana.
Il formaggio è uno degli alimenti caratteristici dell’Italia, con una grande varietà e bontà per ogni regione. 
Li compriamo al dettaglio, in salumeria o al supermercato.
In genere i formaggi a pasta molla sono contenuti in vaschette, o avvolti in un involucro.
Alcuni formaggi di grande diffusione e di produzione industriale sono venduti in piccole porzioni in imballaggi in cui rimangono fino al consumo finale.
Più spesso però compriamo formaggi a pasta dura, avvolti in pellicola di plastica per alimenti o in un involucro di plastica per sottovuoto.

Una volta a casa li mettiamo in frigorifero.
Ma come dobbiamo richiuderli, una volta aperti?
Ecco alcune regole fondamentali per conservare al meglio il formaggio in frigo.
Diversamente da quello che è l’uso più frequente, non è consigliabile avvolgere il formaggio in pellicola trasparente. Essa ne impedisce la traspirazione e non è idonea per la conservazione di alimenti con ricca quota di grassi (cede composti dannosi).

Meglio l’utilizzo di carta oleata, carta da forno o carta stagnola. E meglio metterli al sicuro in una pratica scatola idonea alla conservazione dei formaggi in frigorifero. Oppure sottovuoto.

Ma dove buttare gli imballaggi con cui li abbiamo comprati?
Per le vaschette dei formaggi a pasta molla, specie di produzione industriale, vale il discorso fatto per i vasetti di yogurt: polistirene o polipropilene, che vanno nella plastica, con una maggiore probabilità di riciclo per il polipropilene.

Gli incarti di formaggi freschi o a pasta molle possono variare molto a seconda del produttore, tra carta semplice, carta cerata, alluminio e poliaccopiati plastica alluminio. Non sempre è chiaro il materiale e non sempre le indicazioni del produttore sono chiare.

La pellicola trasparente per alimenti può essere in policloruro di vinile (PVC, plastica tipo 3) o polietilene (LDPE).
La prima ha maggiori capacità di aderenza al prodotto. Eppure, per le potenziali proprietà di inquinamento dei cibi e per la scarsa probabilità di riciclo, non è da consigliare.

plastica del sottovuoto (formaggi, ma anche salumi, legumi ed altro)
Sono tanti i prodotti che possono essere venduti sottovuoto: abbiamo affrontato questo tipo di imballaggio per i formaggi, ma in realtà salumi, legumi, cereali, pesci ed altro possono essere messi sottovuoto: si conserveranno bene e a lungo. Ma di che materiale plastico si tratta? Verrà riciclato?
Possono essere in più polimeri accoppiati (plastica di tipo 7, più difficilmente riciclabili quindi) oppure in monopolimero polietilene (LDPE) e dunque riciclabili una volta ripuliti. 
Vanno quindi nella plastica e, se decidiamo di dotarci a casa di una macchina per il sottovuoto, privilegiamo l’uso di sacchetti in plastica monopolimero.

Interessante quest’articolo dove leggiamo le potenzialità della cucina sottovuoto e che ci rassicura sulla sicurezza della tecnica anche in relazione al materiale plastico del sottovuoto:


Nella prossima stilla continueremo ad analizzare gli imballaggi di alimenti nella catena del freddo.

A presto.

mercoledì 4 marzo 2020

MARZO 2020

frutta: pomelo, arance (tra cui variante bionda del Gargano), mandarini (in particolare il tardivo di Ciaculli), cedri, limone, kiwi, mele, pere, avocado (Sicilia e Mediterraneo).
frutta esotica: banane, maracuja, frutto della passione, ananas.

verdura: cipollotto nocerino, cipolle, scalogno, aglio selvatico, cavolo cinese (pak-choi), cavolo verza, cavoli, cavolini di Bruxelles, agretti (barbe di frate), carciofi, patate novelle, topinambur, patate, rabarbaro, cime di rapa, cardi, fave, finocchi, carote, scorzobianca (nord Italia), asparagi, tarassaco, spinaci, cipolline, radicchio, porri, rape.
erbe aromatiche:aglio, erba cipollina, sedano.
funghi: marzuolo

pesce, frutti di mare pescato (Mediterraneo): vongole selvatiche o lupini o arselle, boga, cefalo o muggine, costardella, lampuga, menola, mormora, occhiata, pagello bastardo e pagello fragolino, palamita, pesce sciabola o bandiera o lama, sarago, sgombro, sugarello, tombarello, tonnetto striato, tonno alletterato, zerro, ombrina.
pesce di acque dolci Europee di allevamento o pescato: coregone o lavarello (allevamento), trota salmerino e trota iridea o americana e trota fario (allevamento), persico (Europa), storione (SOLO allevamento).
pesce, frutti di mare da allevamento: capesante (nord Atlantico), cozze (Mediterraneo), gambero imperiale o mazzancolla (Mediterraneo), ostrica (Mediterraneo e Atlantico), rombo chiodato (Mediterraneo e Atlantico), vongole (Adriatico, Mediterraneo).
pesce, frutti di mare pescato o di allevamento da consumare con moderazione (certificazioni MSC ASC o pesca tradizionale locale): acciuga o alice (piccola pesca costiera o MSC): branzino o spigola (allevamento ASC), orata (allevamento ASC), sardina (piccola pesca costiera o MSC), tilapia (allevamento USA o Europa), triglia (piccola pesca tradizionale), gambero o gamberetto (Mediterraneo e nord Atlantico), pagro (Mediterraneo), polpo (Mediterraneo e Atlantico), ricciola (Mediterraneo e Atlantico), scampi (Mediterraneo e Atlantico), seppie (Mediterraneo e Atlantico), totano (Mediterraneo e Atlantico), calamaro.